Addio grafia specchio dell'anima
In preda come siamo a una divorante smania esterofila questa magica parola, che è poi il nome di un famoso programma di videoscrittura, domina il nostro vivere quotidiano. Meno male che c'è Word. E come faremmo senza di lui? Rendiamogli grazie: i nostri scritti son diventati eleganti testi senza macchia e senza paura, politi e levigati come non mai, senza strafalcioni e refusi, asetticamente bianchi e neri, senza svirgolature e svarioni, tutti monotonamente uguali a loro stessi. Ma dove son finiti coloro che scrivono muniti pazientemente di penna, lasciandola morbidamente trascorrere su un bianco foglio? Che fine hanno fatto (è lecito chiederselo?) le maestose, a volte timide, calligrafie di un tempo? Quelle da cui, ad un'analisi attenta, coglievamo umori e pensieri nascosti di chi scriveva? L'innamorato si rivolgeva all'amata e lei leggeva nei tratti decisi la volontà ostinata, in quelli tremolanti l'emozione e l'incertezza, nelle macchie d'inchiostro, sfuggite qua e là, la lunga gestazione, l'ardore della passione e il timore di non essere ricambiato. Insomma la grafia era un po' specchio dell'anima. Per non parlare poi dell'emozione suscitata in tutti gli amanti della letteratura dagli autografi dei grandi scrittori. Eccolo lì L'Infinito di Leopardi, vivo e presente dinanzi a noi nella sua travagliata stesura: in alto la scritta Idillio, con quella I maiuscola che sembra uno spicchio di luna, l'amata luna leopardiana; sotto il titolo di quella che, ma il giovane poeta non poteva saperlo ancora, sarebbe diventata la più famosa poesia italiana, con una singolare L apostrofata che campeggia a metà del rigo, come una grande T capovolta. Poi è l'incipit solenne, senza ripensamenti: Sempre caro mi fu quest'ermo colle…Tuttavia qua e là si scorgono tutte le naturali esitazioni di una grande sensibilità poetica: tra le pieghe della grafia si rivela la passione per un labor limae severo, unita ad ingenuità insospettate. Ed ecco il tra che sostituisce il fra in un'assidua ricerca di migliori sonorità, e quel banale il mio pensier s'annega che diventa più poeticamente nella redazione finale quel musicale s'annega il pensier mio. Anche questa era la magia della scrittura sapiente, fatta a mano, senza infingimenti: vedere, e vivere, sulle sudate carte la fatica del comporre, lo sviluppo poderoso del pensiero con tutte le sue tortuosità e sinuosità, riconoscere, ora in un tratto ora in un altro, i singolari mutamenti di grafia, spia di quelli, accortamente celati, del pensiero. Romanticherie dei tempi che furono! Di quelli odierni ci rimarranno invece questi tecnologici testi ultra corretti e ultra precisi, dove innamorati e scrittori obliano incertezze ed esitazioni, testi modello, subito pronti in mille formattazioni diverse, per tacere della perfetta imitazione del carattere macchina da scrivere, anche quello foriero un tempo di mille emozioni (e chi potrà mai dimenticare Indro Montanelli, giovanissimo, seduto sui gradini di via Solferino con la sua immancabile Lettera 35?). Dei tempi odierni, proiettati verso una dimensione grigia e uniforme, senza fantasia, ci rimarranno il correttore automatico, che cambia arbitrariamente, forzando ogni nostra resistenza, tutto ciò che, a suo debol e immotivato parere, sbagliamo miserevolmente, togliendoci pure l'antico piacere di una bella cancellatura; e quel frenetico copia e incolla, non senza un bel taglia di mezzo, che a lungo andare, possiamo giurarci, ci atrofizzerà il cervello, spingendoci ad automatismi inconsueti. Questo qua, quello là, in un gioco forsennato di improvvisate cuciture, per un risultato senza l'onta dell'errore. E così lasceremo, eternamente memorizzati su indissolubili supporti magnetici, scritti e scritti assurdamente anonimi. Osservateli bene. Corretti. Impeccabili. Perfetti. Forse troppo. Meglio uno svolazzo qui, una sbavatura lì: era più vivo, era più vero…
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